Gente in cammino,
scritto e pubblicato in Francia nel 1990 e in Italia nel 1994 da Malika Mokkedem, una scrittrice
algerina di lingua francese, è ormai considerato un classico della letteratura
maghrebina per i temi trattati, quali la condizione femminile, l’attaccamento
alle tradizioni, il desiderio di emancipazione, il dialogo tra le culture.
Malika Mokeddem, figlia
di nomadi, è nata nel 1949 e cresciuta a Kenadsa, un villaggio del deserto
algerino, ha studiato medicina
all'università di Orano, prima di essere costretta, per motivi
politico-religiosi, a lasciare il suo paese e a trasferirsi in Francia. Qui ha
esercitato la professione medica, finché dal 1985 ha cominciato a dedicarsi
alla scrittura e, negli anni Novanta, ha conosciuto il successo con il romanzo
semi autobiografico Gente in cammino.
Nel 2008 le è stato attribuito il premio Grinzane Terra d’Otranto per il suo impegno a difendere nel Mediterraneo
la pace, la tolleranza e il rispetto delle differenze, quali motori
dell’incontro tra le civiltà.Gente in cammino è una storia quasi vera, che ci fa conoscere l’Algeria, il deserto, le donne della
sua famiglia, dagli anni della sanguinosa guerra di indipendenza (1954-62)
fino agli anni ottanta e alle lotte per il potere.
Leyla, la protagonista del racconto, nasce in quegli anni e vede il suo
paese trasformarsi, osserva e subisce i cambiamenti politici e sociali dalla
particolare prospettiva del mondo femminile.
Accanto a lei la nonna Zohra, di 75 anni, una donnina dalla pelle
olivastra e tatuata: "Di tatuaggi verde scuro ne aveva dappertutto” gioielli a
buon mercato “che nessuno poteva rubarle”.
Nomade attraverso il deserto, un cammino che era ricerca o fuga da sé?… al di là di ogni norma, al limite del sogno, nell’eternità del Sahara, là dove ogni possibile conto dei passi serviva solo a indicare come era vicina la morte e che la vita altro non era che una lunga serie di tappe… nulla dietro, nulla davanti.
Nomade attraverso il deserto, un cammino che era ricerca o fuga da sé?… al di là di ogni norma, al limite del sogno, nell’eternità del Sahara, là dove ogni possibile conto dei passi serviva solo a indicare come era vicina la morte e che la vita altro non era che una lunga serie di tappe… nulla dietro, nulla davanti.
"Aveva un incomparabile dono di narratrice. La sua voce grave infondeva vita alle parole”, con cui “si scopriva un mondo in cui la povertà si ammantava sempre di maestà e dignità. Un mondo in cui la dismisura non aveva altro fine che quello di inculcare la modestia. Una modestia di cui il deserto portava il sigillo: la sua nudità, la sua aridità.” Per evadere dall’immobilità racconta e fa sognare un mondo diverso.
Ecco il favoloso potere delle parole con cui raccontare, mescolando
fiaba, magia, perché i nipoti devono sapere dove sono le radici, devono avere
coscienza della loro identità.
Zohra ha deciso di fermarsi a Kenadsa, un villaggio del deserto
algerino, nel sud dell’oranese, “dove scoprimmo i rumi (cristiani) e le
tomobili( automobili). Lì “si fermava il
trenino nero che inciampava nel deserto”.
Nelle 300 pagine del libro seguiamo la storia di Leyla, che da bambina
lotta per la sua emancipazione come donna, e contemporaneamente la storia dell’Algeria che
lotta per la sua indipendenza. contro il colonialismo francese.
Leyla, fiera di un tratto di negritudine (portava l’infamante sigillo
della inconfessabile scappatella di un lontano antenato) non è nata maschio,
come avrebbero desiderato i suoi genitori,.
“Una femmina, dannazione, non ci si sgolava in yu-yu per la nascita di
una femmina”, ma raccontava Zohra che c’erano stati tempi peggiori in cui si
seppellivano le figlie femmine appena nate, non c’era posto nelle loro vite per
le bocche inutili. Ora non si uccidevano più, ma continuavano ad essere
indesiderate.
Già da piccola Leyla non poteva accettare la superiorità di un figlio
maschio solo perché nel basso ventre “gli pendeva un minuscolo pezzetto di
carne, che faceva pena tanto era spiegazzato”.Lamenta più volte le tante
gravidanze della madre Yamina: “il ventre della madre, una pustola pullulante
di larve. Di tanto in tanto ne espelle una…una suppurazione inguaribile”. (La madre
fu infettata da una gravidanza ogni nove mesi:12 gravidanze, 13 figli).
Ma forse questa riproduzione esuberante era la rivincita delle donne in un mondo che le
seppelliva?
Leyla conduce la sua battaglia per la libertà. Con lo studio evade dai
confini angusti della famiglia e del villaggio, in rivolta con la cultura dei
padri, ma anche senza rifiutare le tradizioni. “Una donnina con il cervello a
sghimbescio su due mondi, che pilucca nell’uno e nell’altro”.
Perché far studiare le figlie femmine, se su di loro incombe il
matrimonio in tenera età, a 12 anni? La maestra però riuscirà a convincere il padre
di Leyla a farle continuare gli studi
alle medie, perché anche una donna potrà dare un contributo all’Algeria
indipendente.
In realtà l’Algeria indipendente evidenzierà che la libertà non è per le
donne, anche perché cresce l’integralismo e il Corano entra nelle scuole.
All’università una studentessa è la più reietta delle puttane. Bisogna ripulire
la società dalle piaghe purulente:ecco allora le brigate del buon costume, “orde di uomini scelti, massa muscolare,
abbondanza di baffi…infamia delle parole, violenza dei gesti…missione
fondamentale arrestare ogni ragazza colpevole di promiscuità illegittima.”
Saada, un’altra delle donne coraggiose del romanzo, con una storia di
prostituzione alle spalle, dirà che “la maggior parte degli uomini ha un sesso
in erezione nel cervello e al posto del cuore un deserto senza palme”.
Dure le parole di Leyla per i
matrimoni combinati: descrive queste feste che potevano durare anche una
settimana, in cui “una povera ragazza impaurita, che aveva vissuto tutta
l’infanzia nella più totale obbedienza, il cui culmine era rappresentato da
quel giorno di stupro organizzato, era condotta nella nuova casa dello sposo
onnipotente mai visto prima”, schiacciata sotto il peso dei gioielli, sotto i
pungoli delle donne di cui era quel giorno il giocattolo.
Fondamentale dimostrare la verginità’ della sposa con un atto sessuale
fulmineo, breve e sanguinante, che provava la virilità del marito e trasformava
la bimba di poco prima in una donna frigida per sempre..
Che disgusto per Leyla quella sottogonna insanguinata esibita, dopo
quella ripugnante corrida, a dimostrazione che l’onore era salvo. Un tempo le
ragazze non vergini la notte delle nozze erano non solo ripudiate all’istante,
ma spesso giustiziate dal maschio più coraggioso della famiglia. Del resto una donna deve solo subire il suo maktub (destino) con
dignità.
Leyla, invece, comincia a studiare, è la prima della sua classe, impara
a leggere e scrivere in francese, nella lingua degli altri. Ma si chiede a che
serve che un’araba sia la prima della classe se a 12 anni sarà maritata e
rinchiusa…"è come dare la marmellata ai porci”.
La determinazione di Leyla, sostenuta anche da qualche figura maschile
positiva della sua famiglia, la porterà a continuere gli studi fino a diventare
medico, anche se sarà costretta a scegliere la via dell’esilio in Francia.
Già prima della fuga era fuggita, “aveva solcato furiosamente il
mondo” grazie ai libri, meravigliosi
compagni che…nascondevano sortilegi incandescenti e tremende stravaganze,
grandi stregoni. Alla nonna Zohra
spiegava che i libri raccontano il mondo al di là degli erg e degli
oceani, al di là delle costrizioni e delle catene.
Il mondo che cammina come facevi tu un tempo. Qui la vita è così immobile che io cammino nei libri come tu nelle tue storie, per respirare, per non morire. Qui è la noia, il vuoto. La morte è qui nell’immobilità, nella ripetizione di gesti identici. La vita non è che uno spazio tra nascita e morte…bisogna camminare per allungarla, riempirla, rischiararla.
Il mondo che cammina come facevi tu un tempo. Qui la vita è così immobile che io cammino nei libri come tu nelle tue storie, per respirare, per non morire. Qui è la noia, il vuoto. La morte è qui nell’immobilità, nella ripetizione di gesti identici. La vita non è che uno spazio tra nascita e morte…bisogna camminare per allungarla, riempirla, rischiararla.
Per Leyla/Malika Mokkedem la scrittura ha la supremazia sulla parola.
Una resta, l’altra prende il volo. E Malika, medico in Francia, decide di
diventare scrittrice.
Per concludere, non posso non ricordare che, oltre ai Tuareg, gli uomini
blu che vengono a trovare nonna Zhora, nel romanzo c’è un terzo indiscutibile
protagonista ed è il deserto, più
volte descritto e amato da Leyla, in particolare la sua duna, dove ama ritirarsi in solitudine, “bagno di dolcezza e di
pura calma, in cui raggomitolarsi a palla come nell’accogliente grembo di una
madre”. Lì scema la tristezza, nel sogno Leyla lascia il mondo agitato e
mutilato degli uomini immobili, parte con la gente in cammino nella luce, nel
vento, al largo delle dune. "Quella gente che non fa la guerra, che non lascia
dietro nulla, né case cieche né ricordi feriti né amori strappati”.
Malika Mokkedem, Gente in cammino, Giunti, Firenze 1994 e 2005
Testo di Caterina Fiore
Malika Mokkedem, Gente in cammino, Giunti, Firenze 1994 e 2005
Testo di Caterina Fiore
poverella secondo alcuni tuoi compatrioti andrai all'inferno,ma per me sei già in paradiso
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