sabato 28 gennaio 2012

Daniel Fishman, Il chilometro d'oro

Il chilometro d'oro. Il mondo perduto degli italiani d'EgittoOggi sono molti gli egiziani che vengono in Italia in cerca di lavoro. Mi è capitato di incontrarli numerosi nel 2010, quando ho insegnato agli emigranti in una scuola di Reggio Emilia i primi rudimenti della lingua italiana. Mi risulta, invece, che dopo la “primavera araba” molti siano ritornati a casa.
Ci sono stati tempi diversi in cui noi italiani siamo andati numerosi in Egitto ed abbiamo costituito una comunità importante per il progresso e la modernizzazione del paese dei faraoni.

Se volete saperne di più vi invito a leggere Il chilometro d’oro, il romanzo pubblicato in Italia nel 2006 da Daniel Fishman, uno storico inglese, che svolge attività saggistica e divulgativa sul tema della multiculturalità: è’ un romanzo di non grande valore letterario, ma utile per conoscere una parte della nostra storia di italiani al di fuori dell’Italia.

Interessante la prefazione di Magdi Allam, che, nato in Egitto, ha poi tagliato il cordone ombelicale con la sua terra e scelto l’Italia come patria di adozione. Ancora si emoziona nel sentire la voce di Um Kaltum, o nel vedere il volto di Omar Sharif, o un film del regista copto Yusef Chanine. Ricorda l’Egitto anni quaranta, in cui risiedevano circa 70000 italiani, che non erano immigrati temporanei, ma una comunità che si considerava parte integrante della realtà egiziana. Ricorda la cantante Dalida, italiana nata in Egitto come Ungaretti o Marinetti.
Da bambino intorno a sé c’era un mondo cosmopolita, che si captava nella diversità etnica, religiosa, culturale e linguistica che caratterizza le metropoli. Una pluralità valorizzata come positiva, come modello da perseguire. La musica popolare come il look dei giovani non era dissimile da quella dei coetanei sull’altra sponda del Mediterraneo. C’era una vitalità sociale e culturale che si è riflessa nella produzione migliore dei grandi scrittori dell’epoca come il Nobel Naghib Mahfouz o Taha Hussein, padre dell’illuminismo nella cultura araba.

Significative le parole di Mahfouz raccolte da Giuseppe Guidetti su Repubblica:
“ Non ho mai viaggiato, perché questa città mi ha dato tutto ciò di cui avevo bisogno. Il Cairo è il magazzino della Storia. I faraoni, i persiani, i greci, i romani, gli arabi, i turchi: sono tutti passati di qui e tutti, anche l’Europa moderna, hanno lasciato un segno nella Storia. La città è diventata, attraverso i secoli, un residuato dell’ingegno umano”.

Quell’Egitto plurale e cosmopolita è stato fonte di arricchimento e di vitalità per tutti, autoctoni e stranieri, che di fatto stranieri non lo erano più da generazioni. La convivenza nel rispetto di regole comuni aveva sortito risultati positivi per tutti a tutti i livelli. E le cose peggiorarono con la politica di Nasser, che determinò la fuga di ebrei e cristiani dall’Egitto. Il paese, che nel 1952 esportava metà della propria produzione agricola, nel 1967 si ritrovò a dover importare gran parte del proprio fabbisogno alimentare.
La comunità italiana ha visto il suo apice prima della seconda guerra mondiale; il numero, invece, diminuì dopo la guerra e con Nasser, infatti tra il 1950 e il 1960 molti ritornarono in Italia. Nel 2007 erano 3374 gli italiani in Egitto, cioè 1980 famiglie.

Daniel Fishman non ha scritto un saggio sugli italiani in Egitto, ha scelto la forma romanzo per raccontare, ma - come precisa nelle note finali- l’invenzione è supportata da testimonianze, documenti d’archivio, articoli d’epoca, interviste a persone vissute in Egitto a quei tempi.

E’ la storia della famiglia Mosseri, originaria di Livorno e trapiantata in Egitto. Il nipote di Mondo Mosseri è il narratore, che mette piede per la prima volta in Egitto nel 1979. Si ritrova in un Cairo di 17 milioni di abitanti, "coperto da una cappa che lo rende, giorno e notte, grigio, inquinato, uniforme, immobilizzante e soffocante." A questo Cairo caotico, ingorgato dal traffico si contrappone la rievocazione di "una capitale, un poco parigina, in armonia con il suo passato e progettata per settecentomila abitanti".
Il romanzo vuole rievocare quella città che non esiste più, quella dei talianin, gli italiani d’Egitto, che l’abitarono fino a cinquanta anni fa e che "in pochissimo tempo furono espatriati, sradicati e cacciati intorno al 1956."

Nonno Mondo “era nato in un paese colorato e cangiante come può esserlo un caleidoscopio di quarantaquattro comunità nazionali, cinquanta etnie e ventuno confessioni religiose”. “In quale posto si possono trovare musulmani, copti, turchi cattolici, ciprioti, italiani, inglesi, ebrei, francesi, marocchini, maltesi, polacchi, circassi, ortodossi, rumeni, russi, sudanesi?"
La risposta alla domanda di Clement Mosseri, padre di nonno Mondo, è l’Egitto della prima metà del 900, anzi di una parte del Cairo , il cosiddetto chilometro d'oro”, "un piccolo territorio dove si produceva e si gestiva quasi tutta la ricchezza del paese, e in cui si concentravano tutti gli stranieri e gli egiziani d’un certain niveau, rango e cultura". Un’area cosmopolita con attività commerciali, ristoranti, hotel di lusso, cinema, teatri. Una società multiculturale che si spezza nel 1956, allo scoppio della guerra di Suez, quando gli stranieri come semi di cocomeri verranno sputati da Nasser fuori dal Paese in cui vivevano. A rompere l’incantesimo è il consolidarsi del panarabismo e del nazionalismo di Nasser, a sua volta dovuto anche alla nascita dello stato di Israele e del Sionismo.”

La storia romanzata di Mondo Mosseri protagonista del romanzo, nato nel 1900, si intreccia con la Storia vera di re Fuad, di re Faruk, di Rommel, Montgomery, Nasser e tanti altri.

In Mondo Mosseri si può riconoscere il nonno di Daniel Fishman, animatore di un’associazione che in Inghilterra si occupa della memoria di quei profughi del 1956, che lasciarono in Egitto casa, averi.
Appartenente a una delle più importanti famiglie ebraiche d’Egitto, Mondo percorre il suo tempo consapevole che la storia stava cambiando tutto: il regime delle capitolazioni che tutelavano gli europei, il sistema coloniale britannico, la monarchia egiziana avviata alla decadenza, l’evoluzione dei partiti egiziani, la guerra mondiale e i suoi riflessi al Cairo, la rivoluzione nasseriana. Mondo Mosseri vede spegnersi un’epoca e scomparire la comunità degli ebrei italiani: una comunità ebraica che si sentiva egiziana e italiana e che in maggioranza non era sionista.

Mondo Mosseri, lontano dalla politica, impegnato con il suo business di cavalli e scommesse, grande giocatore di taula (il backgammon), non avrebbe mai pensato di finire in uno dei campi d’internamento, in cui i britannici confinarono gli italiani dal 1941 in poi. Né di avere una figlia sionista, internata e incarcerata, prima di poter andare definitivamente in Israele. Come scrive Paola Caridi, "fu travolto, come gli altri, dal qamasin, dal forte vento del deserto che spazzò via dall’Egitto – tra gli anni Quaranta e Cinquanta - gran parte di quel cosmopolitismo leggero, pigro, orientale che affascinò tanti. E le cui tracce è stato possibile ritrovare ancora, per tanti anni, tra i palazzi di dowtown e il grande cuore di tanti egiziani."

Per approfondire questo argomento degli Italiani in Egitto può essere utile il saggio di Marta Petriccioli, studiosa dell’Università di Firenze, Oltre il mito. L’Egitto degli Italiani (1917-47) pubblicato da Bruno Mondadori nel 2007.

Daniel Fishman, Il chilometro d'oro, Ed. Guerini e Associati, Milano 2006
Marta Petriccioli, Oltre il mito. L'Egitto degli Italiani, Bruno Mondadori,  Milano 2007.

1 commento:

  1. Un mondo affascinante, peccato sia irrimediabilmente perduto. Speriamo che la tolleranza e l'apertura di quei tempi possano tornare.

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