martedì 27 novembre 2012

Ngugi Wa Thiongo, Sogni in tempo di guerra


Sogni in tempo di guerra  Un nome difficilissimo per il secondo scrittore africano dopo Lola Shoneyin, presente a Festivaletteratura di Mantova 2012. Tra l’altro un nome adottato in seconda battuta: nato, infatti, nel 1938 in Kenya nel distretto di Kiambu, in una zona popolata dall’etnia gikuiu, era stato battezzato James Ngugi. Frequentata la scuola missionaria, una scuola coloniale creata da missionari italiani, la Loreto School, diventato un cristiano devoto, ha in seguito rifiutato la fede cristiana e il suo nome coloniale, diventando nel 1969 Ngugi Wa Thiongo, che è un nome gikuiu. Anche la lingua inglese, appresa in Kenia e potenziata in Inghilterra, frequentando la Leeds University, oggi è in parte rifiutata a vantaggio del gikuyu e del swaili, lingue native del suo popolo. Questo cambiamento è avvenuto soprattutto, quando nei suoi scritti ha sentito il bisogno di contenuti politici non in linea con chi deteneva il potere in Kenya. Per questo ha conosciuto anche il carcere duro, dove ha scritto il suo primo romanzo in gikuiu, su rotoli di carta igienica.

Il carcere negli anni 70 se lo era guadagnato, per aver messo in scena una pièce teatrale contro il governo in carica, ma la colpa maggiore era l’aver scelto come lingua la sua lingua madre, il gikuiu, comprensibile ad un pubblico più vasto rispetto all’inglese, lingua ufficiale. E’ del 1986 il saggio Decolonizzare la mente: la politica della lingua nella letteratura africana, in cui sostiene l’importanza delle lingue africane in letteratura, rendendosi conto delle drammatiche conseguenze di questa frattura linguistica. Nel 1988 scelse per sé e la sua famiglia l’esilio negli Stati Uniti, dove insegna letteratura comparata in alcune importanti università americane. Le due opere più famose, pubblicate in Italia da Jaca Book, sono Un chicco di grano e Petali di sangue, in cui si parla di lotte per l’indipendenza, con particolare riferimento alla rivolta dei Mau Mau e, dopo l’indipendenza, a Jomo Keniatta.

domenica 25 novembre 2012

Alicia Gaspar De Alba, Il deserto delle morti silenziose

 Oggi, 25 novembre 2012, in tutto il mondo giorno dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne. Emarginazione, stalking, razzismo sono forme di violenza fisica e morale che ancora sopravvivono nel secondo millennio.   Dall’inizio dell’anno 2012, secondo Telefono Rosa, sono 100 le donne uccise in Italia. Si è passati da un omicidio ogni tre giorni, registrato l’anno scorso, a uno ogni due giorni. E nella maggior parte dei casi gli autori di questi delitti sono mariti, ex fidanzati, comunque persone nella cerchia affettiva delle mura domestiche. L’87 per cento delle donne, che hanno chiesto aiuto a Telefono Rosa, hanno subito violenza in famiglia o da quelli che potevano ritenere fossero “i loro cari”, secondo l’indagine dell’associazione relativa al 2011.

L’istituto di statistica sottolinea che, sebbene gli omicidi siano calati (circa 1/3 rispetto a 20 anni fa), quelli in cui le vittime sono donne fanno registrare numeri alti: nel 2010 le donne uccise sono state 156; nel 2009 erano state 172; nel 2003 si è avuto il picco del decennio scorso con 192 vittime. E aumenta il tasso di omicidi che avvengono in ambito familiare o sentimentale: circa il 70% di questi omicidi sono compiuti da partner o parenti.
Invece che fare riferimento a fatti di cronaca recenti, ho pensato di trasferire in questo blog un mio precedente scritto, pubblicato in gruppodilettura.wordpress.com, su un romanzo che parla in modo particolarmente tragico di femminicidio in Messico. Per femminicidio si deve intendere l'assassinio di donne per il semplice fatto di essere donne, commesso da un uomo in una discriminazione di genere. Il deserto delle morti silenziose, pubblicato nel 2007 da La nuova frontiera, appartiene al genere dei romanzi–verità o ai docu-romanzi.

sabato 17 novembre 2012

Lola Shoneyin, Prudenti come serpenti

Prudenti come serpenti di Lola ShoneyinGli africani presenti a Festival Letteratura di Mantova 2012 erano soltanto due: un keniota, Ngugi Wa Thiong, e la nigeriana Lola Shoneyin, nata a Ibadan nel 1974. Poetessa, autrice di racconti , ha pubblicato nel 2012 il suo primo romanzo, Prudenti come serpenti. Questo il titolo per l’edizione italiana, pubblicata da 66TH AND 2ND, una piccola casa editrice romana, che nel nome ricorda l’incrocio tra la Sessantaseiesima Strada e la Seconda Avenue a New York, una strada e un luogo di passaggio, un indirizzo e una casa, dove saranno accolti tutti coloro che vorranno abitare un nuovo progetto editoriale. Piacevole anche la copertina che, con scritte tipo fumetto e disegni, sintetizza efficacemente il libro.


Il titolo originale, più esplicito rispetto a quello italiano, è The Secret lives of Baba Segi’s Wives: inglese è la lingua di scrittura di Lola, che ha frequentato scuole nel Regno Unito e che, ritornata in patria ad Abuja, .insegna inglese e teatro. Vive tra Londra e Abuya ed è sposata con il figlio di Wole Soyinka, premio Nobel per la Letteratura. Lola si ritiene una femminista, pronta a dare un contributo, perché le donne africane abbiano più opportunità; per questo il tema centrale di questo primo romanzo è la poligamia, che è ancora molto diffusa in Nigeria. Il 33% delle donne nigeriane, infatti, vive con un marito poligamo. A causa della povertà le donne, per lo più musulmane poco istruite, accettano la poligamia, ma più per fattori culturali che religiosi. Alcune, come nel caso della protagonista di questo romanzo,  possono anche essere laureate, ma anche per loro è difficile essere accettate in una società in cui conta solo il matrimonio e l’avere figli.

giovedì 1 novembre 2012

Valerio Pellizzari, In battaglia, quando l'uva è matura

In battaglia, quando l'uva è matura. Quarant'anni di Afghanistan libro di Pellizzari ValerioPochi giorni fa si sono celebrati i funerali dell’ultimo italiano morto in Afganistan, un giovane alpino ventiquattrenne: sono così 52 gli italiani morti dal 2004, quando è iniziata la missione che doveva portare la pace, ma che in realtà è una guerra che non si conclude e non si vince. Senza fare inutili distinzioni tra morti italiani e non, in undici anni i morti sono stati ben 3300, di cui circa 2000 americani. 

In questo periodo mi sono interessata di Afghanistan, soprattutto dopo aver letto Limbo, l’ultimo romanzo di Melania Mazzucco, ottima scrittrice. La protagonista, il maresciallo ventisettenne Manuela Paris, responsabile di trenta uomini, è reduce da una missione di pace. Torna a casa dopo 127 giorni con le stampelle, dopo due operazioni al cervello, faticosamente sopravvissuta ad un attentato in cui ha perso tre suoi soldati . Una legge permette da circa dieci anni la presenza delle donne nell’esercito e Manuela è una di quel 3% che ha aderito, anzi il suo è il caso di una donna soldato fermamente convinta della scelta fatta e che riesce con determinazione a farsi apprezzare in Afghanistan dalla nona compagnia del decimo reggimento degli alpini. Il romanzo si articola in capitoli con un titolo che si ripete: LIVE in cui Manuela parla di sé tornata a casa e HOMEWORK, in cui racconta in forma di diario ciò che le è accaduto in Afghanistan. Scrivere infatti serve come cura per chi ha subito un terribile shock.