lunedì 23 luglio 2012

Javer Cercas, Soldati di Salamina

Javer Cercas, uno degli scrittori incontrati alla Fiera del libro di Torino 2012, divertente, ironico nel raccontare come, pubblicato un primo romanzo nel 1989, nessuno si fosse accorto di lui, finché, poi, non divenne uno scrittore di grande successo con Soldati di Salamina, vincitore del Grinzane Cavour nel 2003. Era grato anche alla casa editrice Guanda, di cui quest’anno si festeggia l’ottantesimo compleanno, per avere creduto in lui. Io, in maggio, avevo già letto, anzi riletto Soldati di Salamina, un romanzo che ho trovato bellissimo e che ha suscitato in me particolari emozioni, come capita raramente. Eguale emozione e interesse ho provato leggendo, poi, La velocità della luce, mentre mi ha lasciato un po’ indifferente un terzo romanzo, La donna del ritratto.
Soldati di Salamina è senz’altro un meta-romanzo, perché è una storia nel suo farsi, in cui lo stesso autore Javer Cercas, dalla prima pagina all’ultima, ci racconta come e perché ha avuto il bisogno di raccontare questa storia, che rientra nelle numerose opere di questi ultimi anni relative alla guerra civile spagnola. 

Javer Cercas è, dunque, il protagonista del romanzo, un giornalista che ha abbandonato la precedente attività di scrittore per l’insuccesso dei suoi due primi romanzi. Nel 1994 si imbatte nella storia di Rafael Sanchez Mazas (1894-1966), scrittore, poeta, con J. A. Primo de Rivera fondatore della Falange. Arrestato durante la guerra civile, è prigioniero dei repubblicani, che ormai in fuga verso i Pirenei, dopo la caduta di Barcellona, portano con sé centinaia di falangisti, che tengono prigionieri nei pressi di Banyoles nel santuario di santa Maria di Colel, un antico convento trasformato in carcere. 
Un mattino quando, insieme con altri cinquanta, viene condotto fuori in una radura per essere fucilato, Sanchez Mazas riesce a fuggire nel bosco. Un soldato repubblicano lo vede, si fissano in silenzio e, quando un altro soldato chiede se c’è qualcuno risponde che non c’è nessuno. Dopo aver vagato per nove giorni e nove notti, quasi cieco per aver perso gli occhiali, riesce a salvarsi, anche grazie agli amici del bosco, tre giovani repubblicani, che hanno lasciato l’esercito e si sono “imboscati”, in attesa della fine della guerra. Conoscono questa zona perché originari di un paese vicino. Fondamentale per la salvezza di Rafael Sanchez Mazas l’aiuto dei tre repubblicani, formalmente nemici, ma, diventati buoni amici, disposti ad aiutarlo, purché, poi, sia lui ad aiutare loro, quando i franchisti vincitori sopraggiungeranno. E così sarà, alla fine della guerra li aiuterà, evitando che vengano processati. 

Questa storia incuriosisce, anzi diventa quasi un' ossessione per Javer Cercas, che vuole ricostruire i fatti e soprattutto cercare il soldato repubblicano che ha salvato la vita a Rafael Sanchez Mazas, che, a sua volta, aveva pensato di scrivere un romanzo, Soldati di Salamina, in cui raccontare la storia con i tre amici del bosco. Romanzo che non scriverà, ma sarà un grande successo per Javer Cercas, un romanzo, che invece che frutto della fantasia sarà un “racconto reale, resoconto di fatti realmente accaduti con personaggi reali”, non finzione. “Non ciò che accadde, ma ciò che è verosimilmente accaduto”. 

Il suo romanzo narra come la vicenda venga ricostruita faticosamente, consultando archivi, incontrando testimoni e in particolare due dei tre amici del bosco ancora vivi. Rimane il desiderio ossessivo di incontrare quel soldato repubblicano che ha salvato la vita all’ideologo della falange e capire perché lo ha fatto. Sessant’anni dopo per una serie di coincidenze, Javer Cercas ci racconta di avere incontrato nel sud della Francia Miralles, un vecchio soldato repubblicano, che potrebbe proprio essere quel sodato che ha salvato la vita a Sanchez Mazas. 

Nel romanzo continuiamo a seguire la biografia di Rafael, che, alla fine della guerra civile, diventa consigliere nazionale della falange, poi ministro. Di famiglia aristocratica, laureato in legge, aveva rivelato presto un discreto talento letterario come poeta. Dal 1922, rimasto a Roma per sette anni,aveva maturato interesse per il fascismo e aveva visto in Mussolini la reincarnazione dei condottieri rinascimentali. “In Italia era tornato il tempo degli eroi e dei poeti”. Tornato a Madrid, fondata la Falange con José Primo de Rivera, sarà il principale fornitore di retorica di un partito che vuole incarnare ideali di Giovinezza, Bellezza, Coraggio fisico. “Più cose volevo sapere di lui – dice Cercas-  e meno lo capivo. Mi ero reso conto … che quell’uomo colto, raffinato, malinconico e conservatore, privo di coraggio fisico e allergico alla violenza… negli anni venti e trenta si era adoperato come nessun altro affinché il suo paese sprofondasse in un’orgia di sangue”. 

J. A. Primo de Rivera, che girava sempre circondato da poeti , aveva dichiarato: "A far muovere i popoli non sono altro che i poeti". J. Cercas è d’accordo: “è vero che le guerre si fanno per denaro, quindi per il potere, ma i giovani partono per il fronte e uccidono e si fanno ammazzare grazie alle parole in forma poetica, e dunque sono i poeti a vincere sempre le guerre” e così Sanchez Mazas, al fianco di Josè Antonio, con la sua violenta poesia patriottica “infiammò l’immaginazione di centinaia di migliaia di giovani per mandarli al mattatoio… Questo spiega almeno in parte perché tanti scrittori del periodo, in Spagna e in tutta Europa, passassero nel giro di pochi anni dall’estetismo sportivo e ludico dei gaudenti anni venti alla lotta politica dura e pura dei feroci anni trenta…. J.Antonio  amava citare una frase di O. Splenger secondo cui alla fine è stato sempre un plotone di soldati a salvare la civiltà. I giovani falangisti sentivano di essere quel plotone di soldati… era loro dovere preservare con la forza la civiltà ed evitare la catastrofe.”

Javer Cercas si sente impegnato a scrivere in modo ossessivo Soldati di Salamina con al centro la mancata fucilazione di Sanchez Mazas, per offrire un’interpretazione del personaggio e del falangismo, dei motivi per cui un pugno di uomini colti e raffinati, fondatori della Falange, avessero poi seminato tanto sangue. Cercas nella parte finale del romanzo incontra lo scrittore cubano Roberto Bolano, esule in Spagna e discute con lui sul concetto di eroe “Si è eroi solo eccezionalmente … Eroe non è chi uccide, ma chi non uccide e si lascia uccidere …anche Sanchez non uccise mai nessuno.”  Sempre Bolano dichiara che, per scrivere romanzi non "c’è bisogno di immaginazione, ma soltanto di memoria. I romanzi si scrivono intrecciando i ricordi.” Infinita è la tristezza di Bolano per tutti i libri che aveva progettato di scrivere… per tutti gli amici morti, per tutti i giovani latino americani della sua generazione, soldati morti in guerre perse. Con i suoi romanzi, invece, sarebbero sopravvissuti all’oblio della morte. 

Come ho già scritto, alla fine del romanzo Cercas incontra Miralles, un vecchio soldato comunista che aveva combattuto come repubblicano nella guerra civile, poi esule in Francia e  in diversi luoghi dell’Africa, mentre tutta l’Europa era dominata dai nazisti. E ancora in tanti luoghi dell’Europa, dove il nazismo era prossimo alla fine. Dal racconto di Bolano, Javer Cercas crede di riconoscere per una serie di particolari il soldato che ha salvato Sanchez e faticosamente lo rintraccia; apprende che era sicuramente al santuario di Colel quando ci fu la ritirata dei repubblicani, “quando non eravamo più neppure un esercito: soltanto un’accozzaglia di straccioni, con una fame arretrata di mesi, sparpagliati per i boschi... un disastro totale… Gli uomini disertavano non appena se ne presentava l’occasione.” Cercas dal racconto di quel vecchio ospite di una casa di riposo francese “mezzo guercio, prossimo alla fine” e che si era battuto per la libertà di una nazione che non era la sua, comprende che nessuna persona si sente in debito con lui., che nessuno si ricorderà di lui quando sarà morto… “Allora ricordai Sanchez e José Antonio… forse non si erano sbagliati e in fin dei conti è sempre stato un plotone di soldati a salvare la civiltà.” Nelle ultime pagine del romanzo - bellissime - è lo stesso Miralles che ricorda i giovani che erano partiti con lui nel ’36… “Morirono tutti. Tutti morti. Morti. Morti. Tutti. Nessuno ebbe il tempo di assaporare le cose buone della vita: nessuno poté avere una donna tutta per sé, nessuno conobbe la gioia di veder nascere un figlio, e che quel figlio, a tre quattro anni, si infilasse nel suo letto, tra lui e la moglie, la domenica mattina in una stanza assolata"…. "Ricorda tutto: i loro nomi, i loro sorrisi, i loro sogni. Ma l’oblio è il destino di chi è morto per la libertà in un tempo non interessato a quel passato."  “Miralles smise di parlare…si asciugò le lacrime… lo fece senza alcun pudore, come se non si vergognasse a piangere in pubblico, al pari dei vecchi eroi omerici, come avrebbe fatto un soldato di Salamina.” 

Javer Cercas, che non riusciva a terminare il suo romanzo, vede ora, davanti a quell’uomo “limpido, valoroso e puro" il suo libro ”intero e concreto”, avrebbe solo dovuto passare alla stesura definitiva, scrivere "un ipotetico libro che avrebbe resuscitato un soldato giovane lacero, impolverato e anonimo che aveva portato avanti la bandiera di un paese che non era il suo un paese, che era tutti i paesi insieme e che esiste solo perché quel soldato aveva tenuta alta la sua bandiera negata.” Non sappiamo con certezza alla fine se Miralles è il soldato che ha salvato Sanchez Mazas, è probabile che lo sia, ma Cercas si rende conto che l’attenzione concentrata su un particolare fa perdere la visione di insieme: ciò che conta è la Storia che sta intorno all’anonimo soldato… di Salamina. 

Soldati di Salamina, tra reportage e fiction, è un romanzo, che al di là delle contrapposizioni ideologiche e senza revisionismo, riflette sulla storia per capire meglio il presente. Il famoso Rafael Sanchez Mazas rappresenta la Storia ufficiale del potere, lo sconosciuto Miralles, come un qualunque anonimo soldato di Salamina, che ha difeso la civiltà greca dall’imponente impero persiano, rappresenta la storia con la “s”minuscola di chi la storia l’ha fatta per davvero in prima persona.   

Javer Cercas, Soldati di Salamina, Guanda, Parma 2004, pp.210

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