giovedì 10 gennaio 2013

Olav Hergel, L'immigrato


Nell'ambito delle ricerche del nostro gruppo, nel 2012 mi sono occupata della letteratura dei figli degli immigrati magrebini in Francia, analizzando le opere di alcuni giovani autori che raccontano la vita degli abitanti delle banlieues, in bilico tra due culture, sradicati ormai dal mondo arabo da cui provengono le loro famiglie, ma per nulla integrati nella nazione in cui sono nati e di cui hanno la cittadinanza.

Uno scenario simile è quello proposto dal romanzo L'immigrato del giornalista danese Olav Hergel, uscito nel 2012 presso la casa editrice Iperborea, dopo che l'autore aveva già conosciuto un grande successo con la pubblicazione, nel 2010, di un altro romanzo, Il fuggitivo.

Ambientato in Danimarca, L'immigrato è la storia di Zaki, diciottenne appartenente a una famiglia di origine marocchina ben integrata e studente modello, che non ha niente a che fare con le bande di ragazzi balordi che circolano nel paese, provocando risse, molestando le ragazze e rapinando i passanti. La sua vita è quella di un qualunque studente di liceo, cui i genitori hanno insegnato a rispettare le regole e costruirsi un futuro studiando e facendo il proprio dovere. Zaki è e si sente del tutto danese e mal sopporta le discriminazioni cui è talvolta sottoposto solo perché è un "musonero", come spesso vengono designati gli immigrati e i loro figli.

E la discriminazione è strisciante e presente dappertutto, come mostra questo dialogo tra Zaki e un giudice:

"Credi che non ti facesse entrare perché sei immigrato?" chiese il giudice.
"Io sono danese. Ho la maturità danese, ho la tessera sanitaria danese, la patente danese, il passaporto danese."
"Scusa, hai ragione, volevo dire, credi che lo facesse perché sei originario di un altro paese?"
"Secondo lei?"

La situazione arriva dunque al punto critico una sera, quando, per festeggiare il suo diploma di maturità, preso a pieni voti, Zaki decide di recarsi in discoteca con alcuni amici. Ma il buttafuori alle porte del locale odia gli immigrati e respinge i ragazzi, prima con garbo simulato, poi facendosene apertamente beffe: ne nasce una rissa nella quale il buttafuori rimane ucciso da una coltellata. Zaki è del tutto innocente, anzi tenta di rianimare l'uomo, ma agli occhi dei poliziotti, dell'opinione pubblica, dei mass-media, è colpevole e viene arrestato. Stretto tra il rispetto della legge e la fedeltà agli amici, pur sapendo il nome del vero colpevole, Zaki decide di non rivelare nulla. Intanto una coraggiosa giornalista viene a sapere che il buttafuori aveva gravemente provocato i ragazzi con espressioni e atteggiamenti razzisti e cerca di usare queste informazioni per aiutare Zaki, scrivendo articoli che le procurano insulti e odio da parte dei cittadini più conservatori e contrari alle politiche per l'immigrazione. La situazione poi si complica con l'esplosione di gravi disordini nei quartieri abitati dagli immigrati, per protestare contro la detenzione di Zaki. Anche la famiglia del ragazzo lotta per aiutarlo, in particolare la madre, che non esita a porre a rischio la propria vita per il bene del figlio...

Costruito come un romanzo d'azione, con risvolti polizieschi e colpi di scena, il libro di Hergel ci parla di un paese tra i più ricchi e avanzati del mondo, alle prese con il problema della difficile convivenza tra etnie, religioni e culture assai lontane tra loro, non diversamente da tanti altri paesi europei. Con occhio che si sforza di essere imparziale, l'autore coglie il punto di vista degli immigrati e dei loro figli, denunciando l'ingiustizia di una società che li classifica come delinquenti, senza fare distinzioni e senza offrire loro le stesse  opportunità dei cittadini di origine danese, anche quando del tutto meritevoli. Come dice a Zaki uno dei suoi amici, figlio di immigrati anche lui:

"Tu non le conosci le tue radici, Zaki. Credi di poter diventare danese, ma non lo diventerai mai. Sei forte e bello, hai dei bei voti e dei bei vestiti per andare in discoteca, e quando sei lì e credi che ci sia qualche bel bocconcino che vuole ballare con te, aaah, sei al settimo cielo e pensi che magari riuscirai a rimorchiarla, e così sarai un vero danese. Ma sai qual è la verità? La verità è che lei ride di te. Che non entrerai mai. Non sei entrato in discoteca perché c'era un razzista a sbarrarti la strada e ci sarà sempre. Non hai nessuna possibilità, musonero". (p.132)

Nello stesso tempo l'autore ci presenta anche il punto di vista del comune cittadino danese,  non razzista e ben disposto verso gli immigrati, che però guarda con sgomento agli inquietanti cambiamenti del suo mondo e si sente minacciato da chi pare non tenere in alcun conto i valori su cui quel mondo è costruito. E' il caso per esempio dello studente Christoffer che, tornando a casa una sera in bicicletta, si ferma per aiutare un ragazzo steso a terra, apparentemente incosciente:

Christoffer sentì in bocca il sapore metallico dell'angoscia e si maledisse per non essere stato più attento quando a scuola insegnavano il primo soccorso. [...] Nello stesso istante sentì un calcio sulla schiena e cadde a terra accanto allo sconosciuto, che saltò in piedi con la rapidità con cui lui era caduto. Si trovò sull'asfalto a guardare in faccia una decina di ragazzi della sua età nelle loro uniformi da immigrati, i cappellini girati all'indietro e le felpe col cappuccioCinque o sei paia di mani lo afferrarono, lo trascinarono dietro uno dei grossi alberi e lo spinsero contro la palizzata che dava sulla ferrovia. Avrebbe dovuto avere paura, ma fu preso da una rabbia violenta per essere stato ingannato in modo così vigliacco. (p.47)   

La guerra tra nativi e immigrati in realtà non ha vincitori, ma ha invece tanti vinti: tutti coloro che, da una o dall'altra parte, credono in un ideale di convivenza che in realtà appare molto difficile da realizzare, gli uni frustrati nella loro aspirazione all'integrazione, che viene loro rifiutata comunque, gli altri allarmati dalle violenze di alcuni gruppi, che vengono presi a simbolo di tutti. Non a caso il testo reca in esergo una frase pronunciata nel 2006 da Birthe Rønn Hornbech, ex ministro dell'Integrazione danese: "La demonizzazione rende difficile comprendere le minoranze nella nostra società e per di più aumenta il loro senso di emarginazione. E questo è un pericolo mortale." La fine del romanzo, che vede una relativa ricomposizione dell'equilibrio sconvolto dalla tragedia, consente infatti solo un parziale ottimismo.

Di solito, quando  pensiamo ai paesi nordici, Svezia, Danimarca, Olanda, Norvegia, siamo portati a considerarli dei veri e propri paradisi, dove si realizzano tutte quelle condizioni virtuose cui noi italiani aspiriamo ma che non sempre riusciamo a realizzare con sicurezza: efficienza dei servizi sociali, attenzione ai diritti delle minoranze di ogni tipo (vedi la rimozione delle barriere architettoniche per i diversamente abili), generale clima di tolleranza e di civiltà. Scoprire quindi che anche questi paesi non sono immuni da chiusure e estremismi, in qualche modo ci aiuta a ricordare che sulla terra i paradisi non esistono. D'altra parte la cronaca purtroppo ci ha fornito negli ultimi anni tragici motivi di riflessione a questo proposito: vedi per esempio  i fatti del luglio 2011, con le bombe di Oslo e l'eccidio di Utoya a opera di un estremista.

Il romanzo di Hergel scandaglia anche il mondo della stampa, con l'occhio di chi lo conosce dall'interno e può quindi mostrarci come le forze e gli interessi che lo muovono non operino sempre a vantaggio della verità e dell'imparzialità.

Olav Hergel, L'immigrato, Iperborea, Milano 2012

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