Mia Couto, nato a Beira, in Mozambico, nel 1955, figlio di emigranti portoghesi, dal 1974 si dedicò al giornalismo, diventando prima direttore dell'AIM, agenzia nazionale di stampa, poi di settimanali e quotidiani.
Nel 1985 decise di lasciare il giornalismo attivo e riprese gli studi universitari interrotti, laureandosi in biologia e dedicandosi alla ricerca e all'insegnamento.
Nello stesso tempo cominciò a pubblicare poesie e racconti. Di questi ultimi in Italia venne tradotta nel 1989 la raccolta Voci all'imbrunire (Edizioni Lavoro, Roma 1989). L'opera, purtroppo non più in catalogo, è però presente in molte biblioteche, tra cui la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia: magia, ironia, tragedia si intrecciano nei racconti, rappresentando molti aspetti di un paese problematico, ma vitale, un paese dove le antiche tradizioni si mescolano alla modernità.
Recentemente Mia Couto ha inaugurato l'anno accademico presso la Facoltà di Arte e Comunicazione della Università Eduardo Mondlane di Maputo, con un bellissimo discorso dal titolo Dalla cecità collettiva all'apatia. In esso lo scrittore indica l'assuefazione al negativo come fonte di tanti mali: non indignarsi per la violenza, l'ingiustizia, la corruzione, il cattivo funzionamento ecc. equivale ad accettare e, prima o poi, a giustificare. Couto, ricordando con emozione i suoi anni da insegnante, rivendica alla cultura il ruolo fondamentale di "più potente veicolo di giustizia sociale" e strumento di lotta contro il diffuso meccanismo "che banalizza l'ingiustizia e rende invisibile la miseria materiale e morale."
Un discorso che, pensato per il Mozambico, è però di drammatica attualità anche nel nostro paese e in tutto il mondo occidentale, dove troppe volte egoismo e indifferenza soffocano e sopprimono il nostro sano senso di indignazione di fronte a ciò che in realtà è inaccettabile.
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