domenica 15 gennaio 2012

Ala al-Aswani, La rivoluzione egiziana (seconda parte)

In un articolo del 2008  Ala al-Aswani si pone la domanda: perché gli egiziani molestano le donne?
La risposta classica è che le donne, nonostante siano le vittime, sono colpevoli, perché indossano abiti attillati o succinti che eccitano. Eppure studi dimostrano che il 75% delle donne molestate indossano lo hijab o ache lo isdal, cioè il velo che copre tutto il corpo. Le molestie sessuali 30 anni fa non esistevano. Oggi c’ è più repressione sessuale, i matrimoni sono sempre più dilazionati, le relazioni extraconiugali sono vietate, la diffusione di video pornografici più che eccitare normalizza l’idea di violenza e infine sono aumentate la povertà e la disoccupazione. "Abbiamo sostituito la nostra visione civile delle donne con una visione regressiva nascosta sotto un mantello religioso”.

Dopo la rivoluzione del 1919 contro l’occupazione britannica, Hoda Shharawi, pioniera del femminismo egiziano, durante una cerimonia pubblica si tolse dal viso quella specie di burka alla maniera turca,  come segno che la liberazione dell’Egitto era...
inscindibile dalla liberazione delle donne.
Dopo 90 anni è tornato in uso il niqab, il velo integrale che copre tutto il viso, anche se l’islam non ha mai richiesto alle donne di coprirsi il viso. Un gruppo di teologi di al-Azar ha pubblicato un libro "Il niqab è una tradizione e non un atto di devozione”, in cui si ribadisce che il niqab non ha il minimo legame con l’islam.
Come è possibile guardare il mondo con un occhio attraverso un solo buco? Il niqab impedisce di vivere come esseri umani. Come è possibile per una donna esercitare una professione come chirurgo, giudice, ingegnere o giornalista nascosta dietro un niqab? Il niqab disumanizza le donne.
Visto che in Arabia Saudita la segregazione è totale e ogni donna è obbligata a indossare il niqab, Al-Aswani si domanda se in Arabia è stata conquistata la virtù e in risposta cita studi di alcune università secondo i quali un quarto dei bambini tra i 6 e i 12 anni ha subito abusi sessuali, e che nel 2007 850 ragazze sono scappate di casa a causa di abusi sessuali nel nucleo familiare. Il niqab quindi non esalta la virtù, perche' non la si raggiunge tanto attraverso proibizioni e segregazione quanto piuttosto con l’educazione.

L’islam non ha un’unica visione del mondo, ma certamente nulla è più lontano dal vero islam quanto un approccio estremista e unilaterale. Per sette secoli i musulmani hanno sorpreso per la loro capacità di adattarsi ad altre culture e di integrarle dentro la grande civiltà dell’islam.
L’aspetto più pericoloso di questa religiosità imperfetta è che separa pubblico e privato, per cui accettare il dispotismo e ubbidire ad un governante, anche se ingiusto o corrotto, e' un dovere: infatti la fede non include la difesa dei diritti umani fondamentali come libertà, uguaglianza, giustizia. L’estremismo religioso diventa sintomo del dispotismo.

In questo contesto gli egiziani, che sono naturalmente pii, sempre più si rivolgono a Dio per affrontare povertà, ingiustizia e umiliazione e ascoltano i nuovi predicatori, che soprattutto attraverso decine di canali televisivi, finanziati con i proventi del petrolio, fanno formazione religiosa. Il successo è legato all’eccitazione che sono capaci di suscitare, soprattutto quando il predicatore comincia a piangere e spinge a piangere nel timore di Dio.
Al-Aswani auspica uno stato laico in cui i cittadini abbiano eguali e pieni diritti a prescindere dalla loro fede. Gli egiziani invece, frustrati da povertà e ingiustizia, sono spinti verso un’ostilità di tipo settario; con il diffondersi dell’islam wahhabita è prevalsa la legge del beduino con una visione ostile della società. E se continuassero a prevalere le idee wahhabite sarebbero haram, cioè peccato, arte, musica, canzoni, cinema, teatro e perfino la letteratura. Anche la democrazia è haram, perché governo del popolo, mentre i wahhabiti vogliono applicare la legge di Dio, rifiutando il concetto di cittadinanza.
Nel 2010 un gruppo di avvocati ha chiesto la confisca di Le mille e una notte, perché contiene oscenità. Per questo Al-Aswani si è unito ad altri intellettuali che difendono la libertà di espressione
Questo tipo di interpretazione della religione, che assolve il regime al potere dalle sue responsabilità, fa in modo che il popolo conviva con l’ingiustizia senza ribellarsi. Per scatenare la rivoluzione bisogna, invece, avere la consapevolezza delle cause dell’ingiustizia.

Altra domanda che Al-Aswani si pone in un articolo del 2009: gli egiziani sono veramente religiosi? Gli egiziani per le diffuse manifestazioni religiose potrebbero sembrare il popolo più fervente della terra, ma nello stesso tempo si fanno conoscere per corruzione, abusi sessuali, frodi, truffe. Sarebbero milioni di copie del Tartufo di Molière, che sfoggiava gli istinti più bassi e insieme smaccata devozione. Per molti l’islam si è trasformato in un pacchetto di misure che un musulmano o musulmana devono compiere senza che questo abbia effetto sulla loro condotta di vita. Migliaia di persone hanno perduto il vero messaggio dell’islam che è di dire la verità ai tiranni, al contrario si chinano in atto di sottomissione senza ribellarsi. Ma se la vera religiosità è del tutto identica alla moralità, oggi, invece, in Egitto si fanno gesti, si ripetono parole senza comprendere che cosa significhino.

Al-Aswani parla di ingegnosità degli egiziani e di fuga dei cervelli verso l’Europa, l’America e l’Australia: circa 824000 nel 2009 con titoli di studio di scuola superiore (numero equiparabile alla popolazione di alcuni stati arabi) e 3000 scienziati che si occupano di settori come ingegneria nucleare, genetica o di intelligenza artificiale. Più grande è il patrimonio culturale che esiste in Egitto rispetto ad altri paesi arabi che gli sono pertanto debitori. Sono gli egiziani ad essere i loro insegnanti nelle scuole e università, a progettare e dirigere le costruzioni di nuove città, a mettere in piedi stazioni radio e televisive, a redigere costituzioni e leggi. Sono stati gli egiziani a portare il rinascimento in molti paesi arabi, creando università, giornali, istituti d’arte, cinema, teatro.
E allora un’altra domanda di Al-Aswani: Se esiste questa creatività, perché l’Egitto è in fondo alla classifica e vive in povertà? La tirannia conduce alla corruzione dello stato, che, a sua volta, conduce alla formazione di gruppi maligni che ammassano enormi ricchezze e sono pronti a combattere in modo brutale qualsiasi idea e progetto, per difendere i propri guadagni. La lealtà al regime ha la precedenza sulla competenza ed elimina le persone di talento e questo porta al deterioramento delle capacità dello stato in qualunque campo. Il dispotismo, dunque, esclude le persone competenti e apre le porte a sicofanti e incensatori.
Più volte nel saggio si parla di torture violente a cui sono sottoposti coloro che in qualche modo si oppongono al regime, una specie di sadismo psicologico come strumento necessario a proteggere il regime e a garantirne la continuità. Uomini appesi sottosopra, colpiti con scariche elettriche in mezzo alle gambe, minacciati di far possedere le mogli dai soldati davanti ai loro occhi, schiaffi, calci. E quasi sempre chi usa queste e altre forme di violenza è uomo di fede che prega, digiuna, recita la preghiera con puntualità.

L’ultima parte del saggio, essendo stata scritta prima dei fatti della Primavera araba, torna in diversi articoli del 2009-10, sul tema della successione a Mubarak e sul rifiuto della già stabilita successione del figlio Gamal.
Già nel novembre del 2009 in Egitto era nato un comitato per una campagna contro la trasmissione del potere al figlio, perché- dice Al-Aswani- l’Egitto non è né un immobile, né un allevamento di polli, proprietà di qualche privato. In un paese democratico chi è eletto con libere elezioni ha un debito nei confronti di chi l’ha votato e fa il possibile per conservare la propria autonomia, mentre in un regime dispotico, ad un ministro, per esempio non importa che cosa pensa la gente, perché a quell’incarico è arrivato grazie alla lealtà al presidente e non per competenza e impegno.
Il 15 gennaio 2010 è ritornato in Egitto Mohamed El-Baradei, premio Nobel per la pace nel 2005. Nessun candidato potrebbe essere migliore per competenze, per il suo ruolo a livello internazionale. Al suo arrivo all’aeroporto grande accoglienza, mentre il governo, che ha ufficialmente ignorato il suo arrivo, nei fatti ha arrestato un alto numero di giovani, perché esortavano la gente ad andare a riceverlo e a dargli il benvenuto. El-Baradei, che ha donato più di 500 milioni di lire egiziane, frutto del premio  Nobel, ad una associazione di beneficenza per orfani, non avendo esitato a dire quello che pensava, è stato in seguito escluso da incontri importanti. La sua integrità morale lo ha posto al di sopra della corruzione, non si è astenuto dal dire la verità e non accetterà il ruolo di comparsa nella commedia rappresentata da elezioni truccate.

Il saggio di Al-Aswani, che ribadisce in ogni articolo l’importanza della democrazia, sostiene che l’Egitto ha milioni di persone oneste dal talento eccezionale e che, se venisse data loro l’opportunità di concorrere a realizzare un rinascimento, nel giro di pochi anni avverrebbe il cambiamento, ma per questo è necessario che gli egiziani siano trattati come cittadini e non come sudditi e schiavi. “Il popolo deve essere ascoltato perché non è plebaglia o feccia che non sa quali sono i suoi interessi”.
Quando nel settembre 2010 solo un 10% è andato alle urne, è stato perché le elezioni erano truccate. Non votare in questo caso è giustificabile come una decisione consapevole, per non legittimare in modo fraudolento elezioni truccate, in cui la maggior parte dei partiti sono marionette di cartapesta i cui fili sono tenuti dal regime.
“ Quando vi saranno elezioni vere l’Egitto tutto vi parteciperà, ma per ora lasciamogli recitare la loro stupida e noiosa commedia da soli, senza comparse. L’unica soluzione è la democrazia.
E infatti le elezioni in corso, a fine 2011 e inizio 2012, le prime elezioni libere del dopo-Mubarak, nonostante la disorganizzazione e la durata di mesi, hanno visto una partecipazione di massa di oltre il 60% della popolazione.
Per quanto riguarda El-Baradei è di questi giorni il suo rifiuto alle elezioni per la presidenza, perché il transitorio governo di militari, ogni giorno sempre di più, tradisce lo spirito della rivoluzione.

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