martedì 19 febbraio 2013

Vincenzo Mattei, Le voci di piazza Tahrir

In questi ultimi mesi è ritornata alla ribalta la cd. Primavera araba, non per i successi passati, ma per l'involuzione che si sta verificando in diversi paesi, soprattutto in Egitto e in Tunisia, dove la crisi politica è sempre più profonda, soprattutto per lo scontro tra laici e islamisti. Per mantenere viva l'attenzione su questi fatti, è interessante la lettura di nuovi libri per approfondire l'argomento.

Le voci di piazza Tahrirè un saggio di Vincenzo Mattei: presentato il 17 febbraio a alla libreria GRIOT di Roma, alla presenza dell’autore e dell’antropologa Anna Maria Rivera. Con queste parole la libreria Griot promuove il libro: “Un racconto coinvolgente ed entusiasmante dei primi giorni della Rivoluzione egiziana, un personale resoconto degli avvenimenti contestuali e successivi alle dimissioni di Mubarak, che hanno dato speranza ad un popolo. 

A parlarne è uno straniero, un giornalista che vive dal 2006 a Il Cairo, attraverso la propria esperienza e quella di chi ha aspettato e desiderato questa Rivoluzione. Un quadro complesso e realistico viene dipinto dalle voci dalla gente di piazza Tahrir,scrittori, artisti, bloggers, ma anche politici, i protagonisti della Primavera Araba, intervistati dall’autore durante l’evolversi politico delle vicende. Emblematica è l’intervista all’allora non ancora Presidente della Repubblica, Mohamed El Morsi, che mostra la mediazione e la sagacia politica dell’intera organizzazione dei Fratelli Musulmani.

lunedì 18 febbraio 2013

Pascal Khoo Thwee, Il ragazzo che parlava con il vento

Nonostante il titolo così evocativo, Il ragazzo che parlava con il vento, non è un romanzo, ma l’autobiografia di Pascal Khoo Thwee, un giovane dissidente birmano, la cui testimonianza appassionata ci permette di conoscere più da vicino un paese dell’Asia sud orientale, ancora un po’ misterioso e lontano dai modelli occidentali, da poco riaperto al turismo. Questo libro ha vinto nel 2002 il Kiryama Prize nella categoria no-fiction.


La Birmania, indipendente dalla Gran Bretagna dal 1948,dopo il colpo di stato del 1988, si chiama Myanmar: è lo stato più esteso della penisola indocinese, grande come il Texas o come la Gran Bretagna e la Francia messi insieme, il doppio dell’Italia, con una popolazione di 55 milioni di abitanti, in cui sono riconoscibili circa dieci gruppi etnici. Una repubblica presidenziale, in cui i diritti umani sono molto limitati da un regime militare di stampo socialista. La Birmania è stata al centro dell’attenzione nel mondo grazie a Aung San Suu Kyi, che, arrestata nel 2000, è stata definitivamente liberata solo nel 2010, grazie anche all’intervento precedente di Kofi Amman e di Giovanni Paolo II. Per il suo impegno a difesa dei diritti civili nel 1991 le era stato assegnato il premio Nobel per la pace e, ancora oggi, è un’icona della non violenza e della pace.

martedì 12 febbraio 2013

Sindiwe Magona, Questo è il mio corpo

Forse anche voi, che state leggendo questo post, non vi aspettereste che proprio il Nuovo Sud Africa, la Rainbow nation (nazione arcobaleno), che doveva dare inizio al "Rinascimento africano", sia il paese con il più alto tasso mondiale di sieropositivi: oltre 5 milioni, di cui 240.000 circa sotto i quindici anni su 45 milioni di abitanti, contro i 2.100.000 registrati complessivamente in Usa ed Europa centrale, secondo le statistiche Unaids.
Nel Sud Africa, che conta la mescolanza di etnie più variegata di tutta l’Africa, il virus colpisce in prevalenza la comunità dei neri e all’interno di essa la malattia sta decimando soprattutto donne e bambini. Nella fascia di età che va dai 15 ai 24 anni una donna sudafricana ha il quadruplo delle probabilità della sua controparte maschile di contrarre il virus. Tra i 20 e i 24 anni una donna su quattro risulta infetta; nel caso di uomini la percentuale scende ad uno su quattordici. Anche un figlio di Nelson Mandela, avvocato cinquantatreenne, è morto di Aids.
La drammaticità di questi i dati è stata certamente la molla che ha fatto scattare il bisogno di scrivere, per far conoscere al mondo intero il problema: mi  riferisco a Questo è il mio corpo, ultimo romanzo di Sindiwe Magona, scrittrice sudafricana, di cui abbiamo di recente  parlato in questo blog e vi rimando a quel post , per conoscere la biografia di questa autrice coraggiosa, tre volte discriminata, perché nera, perché povera, perché donna, determinata al punto di essere stata capace di elevarsi dalla sua condizione e di diventare popolare in tutto il mondo. 

domenica 10 febbraio 2013

Alzando da terra il sole. Parole per l'Emilia


Esulando dalle tematiche da noi finora esplorate, legate, secondo quanto espresso dal nome del nostro gruppo, agli intrecci della nostra con altre culture nel mondo, vorrei segnalare un libro e un'iniziativa di grande importanza e che ci spinge a guardare con speranza al futuro del nostro paese, nella piena consapevolezza che si può entrare in relazione con l'altro solo e in quanto si è in contatto con se stessi, con le proprie radici, con la terra in cui si è nati.

Ieri sera nella sede del circolo ANSP, presso l'oratorio di Fabbrico (RE), ha avuto luogo una cena benefica a favore della ricostruzione della Biblioteca di Mirandola, gravemente danneggiata nel terremoto dell'anno scorso. L'iniziativa è stata promossa dal comune di Fabbrico, terremotato anch'esso, che ha voluto in questo modo compiere un atto di concreta solidarietà verso un paese amico più sfortunato. Come hanno detto i funzionari di Mirandola che partecipavano alla serata, non è cosa usuale che chi ha avuto danni e  problemi, invece di chiedere aiuto per sé, si offra di darne a chi si trova in condizioni peggiori. Un bell'esempio di solidarietà "all'emiliana", fatta cioè da gente che, senza tanti piagnistei, si guarda intorno e va a dare una mano dove c'è più bisogno, con semplicità e con buon senso.

mercoledì 6 febbraio 2013

Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili


In questo blog, in cui è capitato spesso di parlare di diritti, quasi sempre violati, delle donne africane, come non ricordare che oggi,  6 febbraio 2013, nel mondo si celebra la giornata internazionale contro l’infibulazione e le mutilazioni genitali? 

Questa data è stata stabilita dall’Assemblea generale dell’ONU, che ha bandito queste barbare tradizioni,denunciando che a queste pratiche, fortemente lesive della salute psichica e fisica di bambine e donne, sono già state sottoposte non meno di 130 milioni di donne nel mondo e che 3 milioni di bambine sono a rischio ogni anno. Le mutilazioni genitali femminili (MGF) sono, infatti, pratiche tradizionali che vengono eseguite soprattutto in 28 paesi dell'Africa sub-sahariana, per motivi non terapeutici. 

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), come riporta Wikipedia, ha classificato le mutilazioni in 4 tipi differenti, a seconda della gravità degli effetti: 1. Circoncisione (o infibulazione, al-sunna): è l'asportazione della punta della clitoride, con fuoriuscita di sette gocce di sangue simboliche. 2. Escissione, al-wasat: asportazione della clitoride e taglio totale o parziale delle piccole labbra. 3. Infibulazione (o circoncisione faraonica o sudanese, dal latino fibula, spilla): asportazione della clitoride, delle piccole labbra, di parte delle grandi labbra vaginali con cauterizzazione, cui segue la cucitura della vulva, lasciando aperto solo un foro per permettere la fuoriuscita dell'urina e del sangue mestruale. 4. Il quarto gruppo comprende una serie di interventi di varia natura sui genitali femminili. 

domenica 27 gennaio 2013

David Stannard, L'olocausto americano, la conquista del nuovo mondo

Anch'io come Beatrice, sento il bisogno, quasi il dovere, di scrivere qualcosa, in questo 27 gennaio 2013, giorno della memoria, ma, poiché dello sterminio degli ebrei se ne è sempre parlato, e se ne parlerà moltissimo anche oggi, vorrei rivolgere la mia attenzione ad altri genocidi, nella consapevolezza che, purtroppo, ce ne sono tanti altri. 

Uno, di cui forse si è sempre scritto poco, è quello che David Stannard, professore di Studi Americani alla Università delle Hawaii, chiama in un suo saggio L’olocausto americano. Questo scritto fu molto dibattuto, quando fu pubblicato nel 1993, in occasione delle celebrazioni per il quinto centenario della scoperta dell’America. Mentre da una parte si esaltava Colombo, “il portatore di Cristo”, come scopritore di un continente, dall’altra si vedeva questo evento come l’inizio di un vero genocidio, che avrebbe portato nel tempo a cancellare il 95% della popolazione e con essa civiltà importanti e una gran varietà di lingue, che oggi sono rimaste solo tre in tutto il continente americano.

Il saggio, di quasi 500 pagine, con ricca documentazione, si articola in tre parti: una prima parte in cui si ricostruiscono le culture native prima di Colombo; una seconda in cui si denunciano le conseguenze della conquista, facendo un processo a spagnoli, portoghesi, inglesi, statunitensi e ai 4 secoli di massacri dal 1494 fino a Wounded Knee (1890); una terza parte, intitolata “Sesso, razza e guerra santa” in cui si ricercano le ragioni di questo sterminio.

sabato 26 gennaio 2013

Due libri per la Memoria

Domenica ricorrerà il Giorno della Memoria, perché la Shoah non sia dimenticata. Vorrei celebrare questa ricorrenza, proponendo due libri che ruotano intorno ai bambini. Si tratta di due opere molto diverse, nessuna delle quali recentissima (una in particolare), ma entrambe meritano di essere rilette.

Il primo libro è Il bambino di Noè, di Eric-Emmanuel Schmitt, edito da Rizzoli nel 2004 e ristampato più volte, in seguito al grande successo ottenuto. La vicenda si svolge nel Belgio occupato dai nazisti. Protagonista è Joseph, bambino ebreo di sette anni, che viene dai genitori affidato a una famiglia cattolica, che a sua volta lo affiderà a un sacerdote direttore di un orfanatrofio, dove vengono  nascosti, in mezzo agli altri, diversi bambini ebrei. Il romanzo racconta la storia della profonda comprensione che lega Joseph a padre Pons e del patto che viene stretto tra i due: Joseph fingerà di essere un bambino cristiano e imparerà la storia di Gesù e il catechismo, mentre il sacerdote fingerà di essere ebreo e leggerà la Torah, il Talmud e così via: il tutto clandestinamente, è ovvio, perché la Gestapo è sguinzagliata alla caccia degli ebrei e di chi li nasconde.

Si sviluppa così un legame molto forte tra il piccolo e il vecchio, tanto forte che, quando alla fine della guerra Joseph ritroverà i suoi genitori, non vorrà tornare a casa con loro: solo la sollecitazione del vecchio insegnante lo spingerà a seguire i suoi. Ma qualcosa è cambiato nel ragazzo: conoscere la fede cristiana lo ha spinto a volersi convertire. Ancora una volta sarà il sacerdote a far capire al ragazzo quali sono le sue radici e quale è il suo dovere nei confronti del proprio popolo quasi annientato: il dovere della memoria e della salvaguardia dei valori e degli insegnamenti.

giovedì 24 gennaio 2013

Julie Otsuka, Venivamo tutte per mare

Il  primo romanzo pubblicato in Italia di Julie Otsuka,  scrittrice americana di origini giapponesi, (apparso nel 2012 presso Bollati Boringhieri), è Venivamo tutte per mare, che però in realtà è il secondo da lei scritto, mentre il suo romanzo d'esordio, Quando l'imperatore era un dio, è uscito proprio in questi giorni sempre presso lo stesso editore.  

Venivamo tutte per mare tratta il tema dell'immigrazione giapponese negli Stati Uniti nei primi decenni del Novecento, un'immigrazione vista dal punto di vista femminile, cioè delle migliaia di ragazze che in quegli anni partirono dal Giappone verso l'America, armate solo delle foto dei loro mariti, che avevano sposato per corrispondenza e che non avevano mai visto in realtà. Realtà che si rivelò estremamente deludente per molte di loro, spesso poco più che bambine e con pochissima esperienza del mondo:

Sulla nave non potevamo sapere che quando avremmo visto i nostri mariti non li avremmo riconosciuti. Che tutti quegli uomini in berretti di maglia e cappotto nero sdrucito che ci aspettavano sul molo sarebbero stati così diversi dai bei giovanotti delle fotografie. Che le fotografie che ci avevano mandate erano vecchie di vent'anni. [...] Che nel sentir gridare i nostri nomi dalla terraferma, una di noi si sarebbe girata coprendosi gli occhi - Voglio tornare a casa - [...] (p.25).